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Come può la Chiesa aspirare a valere per tutti e non ridursi a credenza e dottrina morale valide solo per chi le professa? Come può esigere di essere riconosciuta come depositaria di verità universali da tradurre in norma morale anzitutto, ma, dove possibile, anche giuridica, imperativa per tutti i membri della società? In breve: in che modo la dottrina cattolica può essere concepita in termini di unicità e universalità quando la fede cattolica è diventata una fede solo particolare? "Non c'è laicità né quando la religione, al singolare o al plurale, si ingerisce nelle cose dello Stato, facendo dello Stato un affare di religione, né quando lo Stato si ingerisce nelle cose della religione, facendo della religione un affare di Stato. Laicità significa divieto di intromissioni, quale che ne sia il contenuto, essendo irrilevante se ostili o benevole. Quello che conta è la non ingerenza. Se si guarda alla storia, questa concezione dei rapporti tra politica e religione appare come un'eccezione, per di più recente, in una vicenda storica plurimillenaria, in cui si intrecciano conflitti e connivenze: conflitti per la pretesa della religione di diventare politica e della politica di diventare religione o, quantomeno, per la pretesa dell'una di piegare l'altra alle proprie finalità; connivenze nel darsi reciproci sostegni, offrendo doveri religiosi a sostegno di obbligazioni civili, e obbligazioni civili a sostegno di doveri religiosi".